Porto franco dell'Africa orientale, Gibuti resta di un'importanza strategica considerevole per la Francia. Sbocco del commercio etiopico, la città è l'unico grande polo economico del paese. Tutta l'attività della città ruota attorno al porto. Vi si vedranno grandi navi mercantili, venute da ogni dove, attraccate in mezzo a sambuchi arabi, con i loro equipaggi dall'aria piratesca, che solcano le acque costiere tra Gibuti, Tadjoura, Obock, Hodeida e Aden. La modernità vive fianco a fianco a un mondo che ricorda Simbad il marinaio. Il centro della capitale, che di notte risuona del vociare dei bar e dei night club, vale la pena di essere esplorato con attenzione. Due pianeti vivono fianco a fianco, senza mai confondersi. Il pianeta dei piccoli bianchi, intorno al club nautico, all'ambasciata, all'hotel Sheraton, ai giardini di Ambouli, alle spiagge di Doralé o all'altipiano del Serpente. Si tratta della Gibuti della sottoprefettura, della quale Nizan si prendeva gioco, che vive ancora di un periodo nostalgico. Sulle terrazze dei bar, con il ronzio dei ventilatori, si parla di spedizioni in 4x4 e di insabbiamenti, di pesca e di bellezze indigene... Il pianeta indigeno, invece, si struttura intorno al grande mercato, il Magalla, alla porta di Harar (piazza Rimbaud), che si dispiega, di mattina, ai piedi della moschea, e dove le donne somale ciarlano attorno alle loro bancarelle di zafferano e pepe. Tutt'intorno, e in particolare in rue des Mouches, si trovano i chioschi dei commercianti yemeniti, minuscoli e pieni zeppi di tessuti delle Indie, di uova di struzzo, di conchiglie del Mar Rosso, di denti di squalo, di miniature etiopiche, di videocassette e di climatizzatori.