Da portare a casa: soprattutto l'artigianato delle tribù nomadi. Pugnali con manici intagliati, oggetti in vimini, collane d'ambra o di malachite, gioielli in argento, poggiatesta in legno scolpito, boccette di kohl, nonché spezie e incensi. Molti degli oggetti artigianali proposti sulle bancarelle dei venditori ambulanti o nei negozi provengono dallo Yemen, dall'Etiopia, dalla Somalia e perfino dal Kenia. I negozi sono aperti dalle ore 8:00 alle ore 12:00 e dalle ore 16:30 alle ore 19:30 e sono chiusi il venerdì.
I piccoli e squisiti ristoranti non mancano, a Gibuti. Vi si serve un po' di tutto: spaghetti e pizza, pesce, carne di cammello o bistecca di tartaruga. Vi si possono degustare piatti europei, ma anche le specialità etiopiche (il watt) o yemenite (tra cui il pesce cotto al forno), oppure l'aragosta. Tra i ristoranti più famosi: La Regina di Saba, il Parisien, la Sirène de l'Escale, il Golfe e il Kokeb. Per chi vuol spendere poco, vi è la fatira, una specie di frittata con pomodori, cipolla e carne; i chawarma, carne a pezzettini con insalata, pomodori, cipolla e patatine fritte; oppure le samoussa (frittelle di carne). Per quanto riguarda le bibite, ovunque vengono serviti deliziosi succhi di frutta, dello shai (tè con cannella, chiodi di garofano e cardamomo) e bevande alcoliche nei ristoranti europei.
Gli afar sono pastori nomadi che percorrono il deserto guidando le loro greggi di pecore e cammelli. La loro struttura sociale è molto gerarchizzata. Una volta, l'autorità era nelle mani del sultano. Oggi non resta che quello di Tadjoura, che ha un ruolo semplicemente onorifico. Gli afar sono poligami, ma le donne non sono velate, anche se su molte di esse vengono ancora praticate la clitoridectomia e l'infibulazione. Anche gli issa sono nomadi musulmani. Essi si spostano liberamente tra Gibuti e la Somalia. Afar e issa, nemici di lunga data, erano conosciuti per le loro usanze bellicose. Le liti per il possesso del bestiame, dei pascoli e dei punti di abbeveraggio degeneravano spesso in sanguinosi conflitti. Un giovane non poteva pensare di sposarsi se non aveva ucciso almeno un nemico, e l'usanza voleva che egli s'impossessasse dei suoi attributi virili, come trofeo. Oggi gli scontri sono rari, ma il nomade non si separa mai dal suo pugnale e dalla sua arma da fuoco. Alla sera, le famiglie si riuniscono negli accampamenti in capanne rotonde chiamate tucul. A condizione di essere presentati, si potrà godere della loro ospitalità ed essere ammessi a condividere il tè e il cibo sotto la tenda. In città, fin dal primo pomeriggio, le persone lasciano le proprie attività per riunirsi nelle case, dove, stesi su tappeti e cuscini, essi masticano per ore il khat, pianta euforizzante che costituisce una vera e propria piaga sociale. Gli abitanti del Gibuti ne consumanto circa 15 tonnellate all'anno! Anche se la popolazione è relativamente tollerante, è buona norma osservare, come in tutti i paesi musulmani, una certa irreprensibilità nell'abbigliamento e nel comportamento.
Nell'immaginario collettivo, Gibuti evoca un profumo d'avventura che sa di zolfo e di sabbie calde. Rimbaud, Monfreid, Kessel, Londres e Gary: furono in molti a passare una parte della loro vita vagabondando in queste terre. Il luogo sembra propizio agli slanci lirici: viaggiatori in preda ai venti, pirati e mercanti di schiavi, cammellieri feroci, bellezze indigene dallo sguardo assente, energia tellurica e caldo soffocante... La realtà è senza dubbio meno esotica. Oggi, le carovane che si riuniscono in fondo agli uadi, o che partono per Aden, trasportano videoregistratori e videocassette, piuttosto che sale proveniente dal lago Assal. E gli attacchi alle locomotive da parte di bande armate non avvengono più. Addio sogni, addio tropici! Restano alcuni piaceri, di cui non ci si dovrebbe privare: immersioni, pesca, kart a vela, circuiti in 4x4 o passeggiate in sella a un dromedario per scortare le carovane di sale. E, forse, alla fine del percorso, l'avventura attende.